Pay toll

La giornata era già partita storta. Stanca, nervosa, infelice al punto di darmi fastidio da sola, la condizione perfetta per fare qualche cazzata. Comunque. Sveglia alle sett’albe, qualche ora di lavoropagaaffitto, poi a casa, caffè, lavata di ascella, restauro alla facciata e via, che mi voglio tagliare i capelli, mi vedo una merda e si sa che non c’è niente come un taglio fresco per tirarsi su il morale. Spiovicchia, fa troppo caldo e i vestiti che ho scelto alla svelta iniziano a pizzicarmi, il tergicristallo fa un rumore insopportabile, adesso mollo un urlo. Ma sto zitta.

Il mio parrucchiere solitamente calmo e filosofo oggi ha le balle girate anche lui. E’ arrivato in ritardo, parla in cinese a raffica con i colleghi, ha un raffreddore da cavallo e lo vedi che oggi non ha voglia, e in effetti quando tocca a me…fa un disastro.

Cazzo devi fare. Ormai è fatta. Mi guardo sconsolata, ma non c’è rimedio. Se non la pazienza. Santa pazienza vita poltrona matta la serva e anche la padrona. Quella roba lì. Perché se c’è una certezza nella vita è che i capelli ricrescono.

Ma non ne ho, non ne ho più di questa pazienza che quotidianamente la vita maiala mi chiede.

I capelli ricrescono, ma io voglio la mia libbra di carne, rivoglio gli anni buttati in certi lavori, in certo amore mal riposto, in coda al collocamento, sui binari di una stazione, nella sala d’attesa di un aeroporto, disperata, perché non volevo partire.

Rivoglio il mio cuore come una cosa viva, non questo nocciolo duro d’oliva, che qualcuno ha succhiato e mi ha risputato in petto, per non saper che farsene.

Sono arida e buia, e se porto pazienza, no, non è una virtù, è un dazio che ogni giorno mi viene strappato da un buco della tasca, non un dono, ma un furto.

grandi pareti e piccoli pennelli

Riferisco due episodi lontani tra loro nel tempo e apparentemente slegati.

Il primo.

Ai tempi dell’Università siamo a casa di un’amica, e in un momento di cazzeggio salta fuori un giornale di gossip il cui pezzo forte è la relazione tra Brad Pitt e Gwyneth Paltrow, le foto rigorosamente rubate mostrano i nostri nudi e crudi sul terrazzino di una camera di albergo.

“Ma ce l’ha piccolo!” esclama la sottoscritta, tra l’offeso e il compiaciuto.

E un’altra delle presenti evidentemente molto più devota di me : “Non è il coso che è piccolo, è LUI che è grande intorno!”

Il secondo.

Ho lavorato per tre anni in un call centre, mobbing e insulti all’ordine del giorno. Siamo sedute vicine e io e una collega, l’unica con la quale sono rimasta amica, una vera dama, elegante nei modi e nell’aspetto, simpatica, colta… sempre un piacere e un sollievo averla vicina in quella valle di lacrime, dove buttavamo giù fiori di Bach direttamente dalla boccetta, più per l’alcool della soluzione che per il principio attivo.

Comunque…la collega fa la sua telefonata che si conclude molto velocemente e lei didascalica me ne spiega il motivo: “Mi ha detto vada affanculo”, senza troppo scomporsi, perché, non del tutto, ma dopo un po’ ci si abitua anche agli insulti. E poi aggiunge: “Però, dai, mi ha dato del Lei!”.

Può succedere che spinti dalla necessità o da un sentimento, il nostro giudizio, la nostra obiettività, vengano offuscati e ci ritroviamo nostro malgrado ad accettare l’inaccettabile. Costruiamo, in barba all’evidenza, fragili castelli di carta velina per sostenere cause perse, li abitiamo, regine del nulla, fregandocene degli spifferi e del tetto che ci crolla sulla testa, adducendo avventurosi pretesti per ogni mancanza altrui.

Il fatto è che molto poco possiamo fare per gli altri, per Brad Pitt e il suo Minipony, per “una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto”, possiamo davvero poco. Ma possiamo fare molto per noi stessi, perché se è vero, come diceva Patrick Swayze buonanima, che nessuno mette Babe in un angolo, è altrettanto vero che Babe in quell’angolo non ci si deve mettere da sola.

In una famosa scena di “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, coniglio e Bob Hoskins sono ammanettati assieme, prigionieri, e passano lunghi minuti cercando disperatamente di liberarsi. A un certo punto, il coniglio, da cartone animato quale è, si sfila tranquillamente dalle manette, lasciando basito il compagno di sventura.

“Ma….! Vuoi dire che potevi liberarti in qualsiasi momento???”

E il coniglio: “Non in qualsiasi momento, solo quando faceva ridere!”

avviso ai naviganti

Ho tagliato i capelli, via tutto. E sono successe un po’ di cose. E’ uscita la faccia, una faccia che non sapevo neanche di avere, sempre nascosta da riccioli, ciuffi lunghi debitamente acconciati, occhiali, pretesti. La mia faccia è piena di macchie, vecchiaia e sole preso sconsideratamente quando invece della protezione solare le mamme ci spalmavano di crema Nivea, dalla sua brava scatola blu di metallo, che a fine vacanza ne conservava il ricordo con una panatura di granelli di sabbia sul bordo del coperchio. Così la mia faccia è una carta geografica (her face is a map of the world a map of the world), un portolano fitto di arcipelaghi, un nuovomondo, un altro continente.

E levata l’ancora, lasciata la zavorra è successa un’altra cosa: è arrivato il dolore, quello nero, quello zittito per mesi, lasciato in fondo allo zaino degli impegni.

Mi son sentita dire che sono forte, io. No, amico mio, sono gelatina, non mi reggo in piedi, voglio passare il resto dei miei giorni stesa su un letto a fissare il soffitto, lasciando che questo macigno che ho sul cuore mi schiacci, facendomi sprofondare finché non divento un tutt’uno con gli acari del materasso. Così girando per strada ho provato a immaginare come sarebbe se i piccoli e grandi dolori di ognuno fossero visibili, guardare le persone, mentre fanno la spesa o la coda alle poste, con il loro sasso al collo, sorretto maldestramente tra una borsetta e un cellulare. Saremmo più compassionevoli gli uni nei confronti degli altri? Penseremmo: boia, guarda che roccia si porta appresso quello, aspetta che lo aiuto a scaricare il carrello.

Chissà.

E poi, come lo affronti? Ti guardi in giro in cerca di esempi: come hai fatto amica mia di una vita, a stare in apnea nella melma nera e uscirne dall’altra parte lustra come una sirena?

Devi convivere con questo malanno ogni minuto, ti guarda fare la cacca, “si prende tutto, anche il caffè”, ti costringe a respiri profondi perché ti senti mancare il fiato, ti svegli la mattina e lui è sveglio prima di te, ti butta giù dal letto come l’onda, come l’onda in mezzo al mar.

E io faccio l’unica cosa che mi riesce in questo momento. Faccio il morto.

il libro dalla copertina

Piace a tutti una storia. Per questo leggiamo i libri, ascoltiamo le canzoni, ci troviamo con le amiche per un caffè, scrutiamo i rotoli neri del cielo e leggiamo le previsioni del tempo. Vogliamo conoscere cosa c’è di là, sapere come va a finire,  ci distruggiamo i molari per arrivare al fresco centro succoso della caramella.

Mi interessa sempre di più chi in una vecchia una foto di gruppo non guarda l’obiettivo, ma oltre il bordo bianco a ondine,  verso la parte di cortile non vista, dove si fermano i fatti e parte L’IMMAGINAZIONE.

Dico sempre che non so inventare, ma forse non è esatto, forse è solo il pudore della mediocrità che non mi lascia dire, e mi concede solo di “riportare” con il mio personale filtro  quello che è già davanti agli occhi di tutti. Da lì il mio amore incondizionato per chi intreccia trame come cesti, robusti abbastanza da reggere milioni di occhi.

E’ il primo giorno di scuola e alla domanda: perché avete scelto questo indirizzo di studi? (Mi vedo la scena, mormorii, colpetti di tosse, qualcuno si guarda le scarpe …) lei alza la mano e come è vero dio dice: VOGLIO FARE LA SCRITTRICE.  – Benedetta creatura, occhi di carbone, labbra di lampone, non vedo l’ora. Racconta le tue storie, con la tua verità nuda e schietta che ci fa sempre ridere di gusto perché non hai tempo tu di ricamare centrini sui discorsi. Aiutati che il ciel t’aiuta, dicono, ma tu, meglio di chiunque altro, sai che il cielo fin troppo spesso sta lì a mettersi le dita nel naso mentre qualcosa qui sotto non va esattamente per il verso giusto. Allora inventa le tue storie, lasciaci a bocca aperta, giudicaci e assolvici, metti il tuo nome sulla copertina, ma guarda sempre oltre il bordo. La roba interessante succede tutta lì.

cominciamo bene

presente , a scuola, quando  liberi di scrivere il famoso “tema a piacere” vedevate stendersi davanti a voi il lenzuolo bianco del vuoto siderale dentro al cervello? ecco, diciamo che a scuola ero più brava. scegliere un titolo che non sia già stato utilizzato nella blogfera è come far pupù sull’orlo di un precipizio sperando di centrare il cespuglio che sta 800 metri più sotto. difficile, ecco. quindi con poca fantasia mi trasferisco in questi luoghi. e abbiate pazienza se all’inizio non sarò proprio ferratissima per quel che riguarda la parte tecnologica: son portata per le materie umanistiche.