La giornata era già partita storta. Stanca, nervosa, infelice al punto di darmi fastidio da sola, la condizione perfetta per fare qualche cazzata. Comunque. Sveglia alle sett’albe, qualche ora di lavoropagaaffitto, poi a casa, caffè, lavata di ascella, restauro alla facciata e via, che mi voglio tagliare i capelli, mi vedo una merda e si sa che non c’è niente come un taglio fresco per tirarsi su il morale. Spiovicchia, fa troppo caldo e i vestiti che ho scelto alla svelta iniziano a pizzicarmi, il tergicristallo fa un rumore insopportabile, adesso mollo un urlo. Ma sto zitta.
Il mio parrucchiere solitamente calmo e filosofo oggi ha le balle girate anche lui. E’ arrivato in ritardo, parla in cinese a raffica con i colleghi, ha un raffreddore da cavallo e lo vedi che oggi non ha voglia, e in effetti quando tocca a me…fa un disastro.
Cazzo devi fare. Ormai è fatta. Mi guardo sconsolata, ma non c’è rimedio. Se non la pazienza. Santa pazienza vita poltrona matta la serva e anche la padrona. Quella roba lì. Perché se c’è una certezza nella vita è che i capelli ricrescono.
Ma non ne ho, non ne ho più di questa pazienza che quotidianamente la vita maiala mi chiede.
I capelli ricrescono, ma io voglio la mia libbra di carne, rivoglio gli anni buttati in certi lavori, in certo amore mal riposto, in coda al collocamento, sui binari di una stazione, nella sala d’attesa di un aeroporto, disperata, perché non volevo partire.
Rivoglio il mio cuore come una cosa viva, non questo nocciolo duro d’oliva, che qualcuno ha succhiato e mi ha risputato in petto, per non saper che farsene.
Sono arida e buia, e se porto pazienza, no, non è una virtù, è un dazio che ogni giorno mi viene strappato da un buco della tasca, non un dono, ma un furto.